Consumismo, Moda e Design: intervista a Ludovica Gioscia

In occasione della Design Week milanese, abbiamo incontrato Ludovica Gioscia, artista italiana cresciuta all’estero, ora a Milano per la mostra The Peacock Stage al T-Space. Quattro chiacchiere a tu per tu con Ludovica.

 

Come ti sei avvicinata al lavoro artistico?
Da piccola ero una di quelle bambine che giocava con la terra e aveva le mani sempre sporche, perché pasticciava con tutto. Mia madre faceva la sarta e io giravo per la casa circondata da tessuti e abiti vogue couture: mi muovevo in un ambiente creativo legato alla femminilità e questo ha influito molto sul mio lavoro. Da ragazza ho seguito la passione per l’arte e ho scelto di frequentare il liceo artistico per poi partire per l’Inghilterra, dove ho conseguito un master.

Com’è la vita di una artista donna cosmopolita, nata in Italia ma cresciuta all’estero?
Non sempre semplice, anche se viaggio molto e sono abituata a vivere tra culture diverse. Diciamo che la vita degli artisti europei è sempre molto particolare: la prospettiva futura è incerta, non si sa mai quanto si rimarrà in un luogo.

Puoi descriverci brevemente gli step che effettui per la creazione di una nuova opera?
Tutto ha inizio con una ricerca basata sulle mie idee: una grossa matrice delle mie ricerche è sicuramente il Barocco, che rivisito in chiave elettronica, a partire dalla rivoluzione digitale di cui siamo protagonisti e che ci consente un eccesso di data. Si tratta insomma, di un lungo lavoro di selezione e archiviazione di carte da parati (elemento simbolico di stratificazione culturale) e di immagini pubblicitarie legate al settore del make-up, con rossetti smalti e ogni sorta di merce presentata secondo ben precise strategie di marketing. Una scelta dettata dalla estrema flessibilità del materiale. Parallelamente a tutto ciò porto avanti un preciso lavoro manuale attraverso le pratiche di décollage e assemblage, ma anche alla concezione e alla realizzazione artigianale di carte da parati. In ogni caso utilizzo prodotti che io stessa consumo e con essi ho creato negli anni svariate opere: una di queste serie sono i Soft Power.

C’è una tua opera a cui sei più legata?
Sì, è sicuramente Bomarzo Vertigo, del 2010: un’opera di 10×10 metri, che è stata esposta alla Fondazione Mirò di Barcellona. Si tratta di venti carte da parati stratificate. Grazie a lei ho vissuto  una bellissima esperienza alla Fundació Miró.

Parlaci della tua mostra a Milano: raccontaci che tema affronta e dacci un buon motivo per visitarla
La mostra, curata da Alberta Romano, si chiama The Peacock Stage e resterà aperta al pubblico fino al 23 aprile. L’esposizione esplora il mio modus operandi, che ho chiamato Infinito Presente, secondo il quale ogni lavoro ha svariate temporalità e non è mai da considerarsi del tutto terminato: in questo modo il tempo lineare non è più l’unica temporalità che esiste. Un buon motivo per visitarla? Perché sono tematiche che ci riguardano tutti da vicino.

Sappiamo che sei interessata ai meccanismi psicologici che stanno alla base delle strategie di marketing e al nostro rapporto con il consumo, l’accumulo e la distruzione di beni: una sorta di lettura antropologica. Come si potrebbe avvicinare maggiormente il mondo dei giovani a quello dell’arte dal punto di vista commerciale?
Oggi il legame dei giovani con l’arte è molto più diretto di prima, perché viviamo in una cultura visiva e questo crea un interesse più spiccato verso l’arte. Nel mio caso l’utilizzo di oggetti commerciali nelle opere attira sicuramente l’attenzione, come i trucchi in gesso che ho creato. Nel 2011 ho realizzato un’intero dipartimento di cosmetici (Exfoliate, Cleanse & Tone) per una mostra che ha utilizzato come modello il department store.

Impossibile parlare di consumismo senza parlare di moda e design. Da artista e donna, che rapporto hai con questi mondi?
Un rapporto personale, derivante appunto dalla mia infanzia e dalla mia esperienza, l’interpretazione degli oggetti e della realtà è sempre la mia ed è frutto del mio vissuto: mi utilizzo come oggetto di studio. Il mio lavoro sui paninari ne è un esempio, in quanto frutto di un fenomeno che ho avuto modo di vivere.

Quale consiglio daresti alle nostre lettrici interessate a intraprendere una carriera nel mondo dell’arte?
Leggere tanto riguardo la propria passione e studiare molto, conservando sempre la curiosità.

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